Il Pordenone, protagonista del Rinascimento

Un bravo artista, come tanti altri, in quel periodo di clamorosa densità espressiva che fu il Rinascimento italiano? No, il Pordenone non è stato solo uno dei tanti. 

Un maestro italiano 

Lo dicono chiaramente gli affreschi della cattedrale di Cremona (1520-1521): scene della Passione di Cristo che, affiancate a quelle dipinte da ragguardevoli autori lombardi quali Romanino, Altobello Melone e Boccaccino, spiccano per teatralità, per la violenza delle torsioni di alcuni personaggi, per l’intensità con cui i protagonisti caricano di emozioni vive e fisicamente partecipate la narrazione evangelica, per l’illusionismo prospettico grazie al quale il pittore demolisce le barriere fra spazio reale e spazio della rappresentazione, costringendo il fedele al ruolo di coinvolto testimone più che di puro spettatore. 

Lo dice il pathos più trattenuto ma tesissimo che innerva il formidabile Compianto sul Cristo deposto di Cortemaggiore (1525-1529 ca.): un addensarsi di figure dolenti (Maria, le pie donne, Maddalena, Giovanni) intorno allo straziato eppure maestoso cadavere di Gesù, capace di impressionare il giovane Caravaggio, che con ogni probabilità ne serberà il ricordo al momento di comporre la sua Deposizione oggi in Pinacoteca Vaticana (1602). 

San Gottardo in trono tra i Santi Sebastiano e Rocco, Museo civico d’Arte di Palazzo Ricchieri di Pordenone (foto Danilo Rommel)

L’impronta sul territorio 

E lo dicono i risultati postumi della sua arte in Friuli, ramificatisi per almeno cinquant’anni dopo la sua morte – nel 1539 – e ancor oggi leggibili: la condivisione dei suoi schemi compositivi, della regia dei personaggi, del personalissimo dosaggio di giorgionismo e di sensibilità al linguaggio tosco-romano da parte di chi gli subentrerà in diverse commissioni e ne erediterà i preziosi materiali di bottega (disegni, cartoni), ovvero di quel Pomponio Amalteo che si esibirà sugli intonaci di Prodolone e San Vito, Baseglia e Lestans, oltre che sulle superfici del grande organo di Valvasone; ma anche da parte del Calderari della pieve di Montereale e della pordenonese Cappella Mantica, o dello Stefanelli di Santa Caterina a Marsure e di Vallenoncello. Una schiera serrata di ammirati continuatori, capaci di spargere sull’intero Friuli occidentale – e oltre – i termini estetici della consapevole adesione a una scuola, che ai giorni nostri finisce per assumere tratti ancor più significativi. Perché, diciamocelo, da cosa si ricava oggi la sensazione visiva che il nostro territorio – svanito da un bel pezzo il Friuli contadino cantato da Pasolini – abbia una sua identità culturale? Dalle frecce color marrone che qua e là, per la strada, ci indirizzano a qualche sito di interesse storico-artistico? Dai cartelli con i nomi dei comuni par furlan che ci accolgono alla periferia dei centri abitati? O dalle mirabili strategie di contrasto adottate nelle bicromie delle rotatorie? 

Direi piuttosto dalla lezione di un antico e ancor moderno pittore; da quella ragnatela di antichi, dipinti segnali di condivisione sociale che si offre ancora oggi al nostro sguardo, e potrebbe ampiamente giustificare una sensazione di radicamento in chi ne condivida non necessariamente i contenuti, ma anche solo lo stile. (F.D.A.) 

La nascita di un artista

Ma chi era Giovanni Antonio? Era nato a Pordenone nel 1483, figlio di un mastro murario, Angelo, originario di Corticelle Pieve, frazione del comune di Dello), da cui l’altro soprannome con cui era conosciuto un tempo: de’ Corticellis. A quel tempo la cittadina costituiva una enclave asburgica in territorio veneto e questo la rendeva di fatto una “città di frontiera”, dove arrivano e si incontrano uomini e idee provenienti dai luoghi più vari. 

Dal punto di vista artistico è opinione diffusa che egli si sia formato alla scuola di Gianfrancesco da Tolmezzo, anche se non abbiamo notizie precise circa il suo garzonato. Poco più che ventenne se ne partì da Pordenone, per l’imperversare di un’epidemia in città, e si trasferì a Spilimbergo, cittadina all’epoca pure molto vivace culturalmente e artisticamente. Facendo base qui, svolse la sua attività nei paesi vicini. Di questa prima fase giovanile, vissuta tra la sua città natale e il contado, sono testimoni le opere nell’oratorio di San Girolamo a Marzinis e nella chiesetta di Gaio, quelle nella chiesa di San Lorenzo a Vacile, ma soprattutto il trittico di Valeriano, una frammentaria Maddalena oggi conservata al museo di Palazzo Ricchieri e la Madonna su un pilastro del duomo. 

La Natività, capolavoro del Pordenone nella chiesetta di Santa Maria dei Battuti a Valeriano.

Il decollo 

In questo contesto il Pordenone maturò le condizioni per imprimere una prima svolta nella sua vita. Entrato in contatto con i Savorgnan di Pinzano, uno dei rami della più potente famiglia del Friuli, per una specie di “proprietà transitiva” delle conoscenze, finì nelle grazie dei Collalto, per cui venne chiamato nell’omonima località a decorare la chiesa di San Salvatore (1514), distrutta poi durante la Prima guerra mondiale. 

Lo sbarco in Veneto costituì per il giovane una grande occasione di confrontarsi con le opere dei maestri veneti, caratterizzate da uno stile più moderno rispetto ai tolmezzini. In particolare è probabile che il suo stile sia stato influenzato dal Giorgione, originario di Castelfranco Veneto e quasi suo contemporaneo, essendo nato solo 5 anni prima.  La carriera di Giovanni Antonio cominciò a questo punto a decollare, con committenze che cominciano ad arrivargli da un’area abbastanza ampia, benché ancora di respiro regionale: Villanova, Pordenone (la Madonna della Misericordia con i ss. Cristoforo e Giuseppe in Duomo), Rorai Grande, Udine, San Martino al Tagliamento. 

Il grande salto 

Un ulteriore salto di qualità maturò verso il 1517-1519, quando ormai attivo e già ben conosciuto in area veneto-friulana, ebbe modo di soggiornare per un certo periodo in Italia Centrale e molto probabilmente anche a Roma, grazie all’ospitalità di Pantasilea Baglioni. Del resto i rapporti con la vedova di Bartolomeo d’Alviano, governatrice di Pordenone per conto del figlio minorenne Livio, ma originaria di Perugia, sono bene attestati anche a livello contrattuale (nel gennaio 1518, ad esempio, Pantasilea concesse all’artista la terza parte di un maso a Villanova). 

Il Ritrovamento della Vera Croce, Museo civico d’Arte di Palazzo Ricchieri di Pordenone

L’artista operò proprio ad Alviano in Umbria, nel palazzo della famiglia e nella locale chiesa parrocchiale di San Pietro, dove affrescò una Madonna col Bambino, i ss. Silvestro e Gerolamo, angeli musicanti e offerente. Quest’opera (che però a onor di cronaca alcuni critici ritengono successiva e spostano ai primi anni Trenta mostra uno stile ormai maturo che si ricollega alle opere romane di Raffaello.

Il cambio di passo stilistico appare evidente già subito dopo il rientro dal soggiorno nella penisola, negli affreschi della cappella Malchiostro nel duomo di Treviso, firmati e datati 1520. 

La sua fama a quel punto crebbe ulteriormente. Così, accanto ai numerosi lavori di ambito locale (Spilimbergo, Valeriano e ancora Travesio e Pordenone) cominciò a essere richiesto anche in centri più grandi e lontani, come Cremona, Cortemaggiore e Piacenza. Interessante la vicenda di Cremona, dove egli venne chiamato dai massari del duomo per eseguire degli affreschi sulla parete destra della navata centrale verso la controfacciata e della controfacciata stessa, a conclusione di un complesso ciclo cristologico avviato nel 1514 e che aveva via via coinvolto Boccaccio Boccaccino, Altobello Melone, Gian Francesco Bembo e Gerolamo Romanino. L’impegno cremonese portò il Pordenone a trascurare altri lavori: il 25 luglio 1521 giunse da Mantova una sollecitazione al pittore, definito “amico charissimo in Cremona”; richiamo peraltro inefficace, visto che un anno dopo dovette scrivergli addirittura il marchese Federico Gonzaga. 

A Mantova come a Cremona Pordenone era ormai un nome di prestigio, avvertito come un’alternativa più moderna (cioè più romana) a Romanino. 

La Sacra Famiglia con offerenti, particolare della pala d’altare di San Rocco nel Duomo di Pordenone

Apice e morte improvvisa

Gli anni Venti e Trenta del Cinquecento videro il Pordenone presente in molte località. Ormai è un artista affermato, che tutti vogliono. Artista-imprenditore, uomo d’affari, egli non rifiuta le richieste che gli giungono, ma finisce spesso per trovarsi oberato e lascia così ad altri della sua bottega il compito di concludere i lavori avviati. In un contesto di questo tipo matura la sua esperienza Pomponio Amalteo, divenuto peraltro suo genero, destinato pure lui a chiara fama. 

Oltre che in Friuli, operò anche a Udine, Cortemaggiore, Piacenza e Venezia. Fu in quell’epoca che entrò in concorrenza con il Tiziano, che però godeva di maggiori agganci nella città lagunare e quindi riuscì a tenerlo al margine. Poi, improvvisa, la fine. 

Il 16 settembre 1538 il duca Ercole II d’Este scrisse a Iacopo Tebaldi, suo ambasciatore a Venezia, inoltrando al Pordenone una richiesta di trasferimento a Ferrara, per attendere ad alcuni cartoni destinati ad arazzi con Storie dell’Odissea. Pare probabile che qualche contatto tra il pittore e la corte estense ci fosse già stato, e anzi che Pordenone avesse già brevemente soggiornato in città. Il pittore accettò l’invito, salvo tergiversare alquanto, probabilmente preso con altri lavori incompiuti o con questioni di affari. Poi finalmente la partenza. Dal 24 dicembre è nella città estense. 

Ma non riesce ad avviare alcun progetto. Probabilmente colto da una malattia fulminante (alcuni ipotizzano un avvelenamento, ma pare eccessivo), morì nell’arco di pochissimi giorni. Il 14 gennaio 1539 venne sepolto in San Paolo a Ferrara. Finiva così prima del tempo il ciclo di un genio artistico, che avrebbe potuto incidere ancora molto nella storia dell’arte italiana. (G.C.)


Articolo di Fulvio Dell’Agnese e Gianni Colledani
Dal numero monografico Pordenone, città d’acqua e di cultura

Studio MB di Alvaro Cardin
info[at]studiomb-cardin.it
P. IVA 01463080935

Copyright © 2023 VeneziEuropa. Tutti i diritti riservati.
Credits: Unostudiox.it

Privacy Policy  Cookie Policy

 Termini e Condizioni