Vissuto a cavallo tra il Due e il Trecento, originario di Villanova di Pordenone, Odorico si fece frate francescano, distinguendosi per zelo e fervore. Nel 1318 partì missionario per l’Asia, percorrendo instancabilmente il grande continente per quasi una dozzina d’anni, attraversando la Persia, l’India, l’Indonesia fino in Cina, allora sotto il dominio dei Mongoli, dove svolse il suo impegno missionario supportando i suoi confratelli già presentii da circa trent’anni. Tornato in Europa, dettò il resoconto del suo viaggio, una delle testimonianze di viaggio più attendibili per l’epoca. Nel 1755 fu proclamato beato da papa Benedetto XIV.
Pordenone conserva un legame molto affettuoso con il Beato Odorico: nel 1973 gli è stata intitolata una parrocchia; negli anni ’80 la Camera di Commercio ha curato la stampa delle sue memorie di viaggio; nel 1991 è stata aperta al culto e nel 1998 consacrata la chiesa a lui dedicata in viale della Libertà; una sua reliquia è conservata nel Duomo di San Marco; nel 2018 si è svolto un ciclo di iniziative in occasione dei 700 anni della partenza per il suo viaggio in Oriente.
Quando si parla di viaggi in Cina, il pensiero di tutti corre a Marco Polo e al suo Milione, la fantastica descrizione delle sue avventure (1271-1295) nel continente allora quasi sconosciuto.
Un secolo di viaggi
In realtà – non ce ne vogliano i veneziani – è tutta questione di marketing, perché egli non fu né il primo né l’unico. Marco non era ancora nato, che il frate francescano Giovanni da Pian del Carpine si era già recato nel lontano Oriente (1245-1247) su incarico di papa Innocenzo IV; ed era ancora in fasce, quando il re di Francia Luigi IX inviò nelle terre dei Mongoli il frate fiammingo Guglielmo di Rubruck (1253-1255). Entrambi peraltro hanno scritto due eccezionali resoconti del loro viaggio: una Historia Mongalorum il primo, un Itinerarium il secondo. Non solo: a dirla tutta, Marco in Cina ci andò perché ce lo portarono suo padre Niccolò e suo zio Matteo, che in quei luoghi c’erano già stati! Prima e dopo di lui diversi altri vi si recarono, chi per affari (è nota addirittura la presenza di una comunità di mercanti genovesi), chi per fede, chi per motivi istituzionali.
Quello che va dalla metà del Duecento alla metà del Trecento, fu un secolo ricchissimo di scambi commerciali e culturali tra Europa e Oriente, che si concluse solo con la disgregazione dell’Impero mongolo e la conseguente conclusione di quel clima di relativa sicurezza interna, che consentiva agli stranieri di muoversi senza grossi pericoli per quel vasto territorio.
Odorico da Pordenone: l’uomo giusto al momento giusto
Tra quanti affrontarono il grande viaggio in Oriente, ci fu anche il frate francescano Odorico, nativo di Villanova di Pordenone. Non si sa molto della sua vita. Una radicata tradizione vuole che facesse di cognome Mattiussi o Mattiuzzi (con tale denominazione gli è stato intitolato uno dei più prestigiosi istituti scolastici superiori di Pordenone), il quale nell’opinione di alcuni studiosi sarebbe di origine boema (da Mateusz). Neanche l’anno di nascita è certo: in passato si pensava che Odorico fosse nato nel 1265 (coetaneo di Dante Alighieri); ma studi recenti spostano la data agli anni 1280-85.
Quel che si sa è che dovette entrare giovanissimo tra i frati minori, presso il convento di Udine. E si sa anche che egli acquistò presto un notevole prestigio, inserendosi in una rete di rapporti sociali e istituzionali di alto livello, fino (forse) a entrare in contatto con la curia papale (che dal 1309 e per quasi settant’anni si era trasferita in Francia, ad Avignone). Possiamo perciò ritenere che possedesse doti non comuni di cultura, maturata in anni di studio a Padova, oltreché grandi capacità di relazioni umane. E ci piace pensare che a determinare tali qualità abbia avuto un qualche peso anche l’ambiente in cui era nato e aveva trascorso l’infanzia: Pordenone, già all’epoca una cittadina dinamica e aperta al mondo.
In quello stesso periodo il papato stava promuovendo una campagna missionaria in Oriente, cercando di stabilire contatti con il lontano ma potente impero mongolo in funzione anti-islamica, dal momento che entrambi avevano un nemico comune nei Mamelucchi, che controllavano la Siria e la Palestina. Servivano quindi persone determinate, disposte al sacrificio, ma anche intelligenti e preparate. In questo senso Odorico fu l’uomo giusto al posto giusto al momento giusto.
Il viaggio e la missione
Odorico partì nel 1318 (data convenzionale in quanto è noto l’ultimo documento che accerta la presenza di Odorico in terra veneta l’11 luglio di quell’anno) da Venezia. Non sappiamo se l’idea di intraprendere il viaggio sia venuta a Odorico e abbia quindi ottenuto l’autorizzazione dalla curia; oppure se la scelta sia maturata negli ambienti avignonesi e lui abbia obbedito. Si presume che il suo obiettivo fosse quello di aiutare Giovanni da Montecorvino, partito per la Cina già nel 1289 con l’intento di organizzare la Chiesa locale, della quale fu consacrato Arcivescovo dopo il 1307.
Il viaggio aveva carattere di ufficialità e il cammino non fu effettuato in solitaria, ma fu affiancato da un collega, fra Giacomo d’Irlanda. Tuttavia il viaggio, come si conveniva a dei frati francescani, venne condotto senza dispendio di risorse e si trasformò per lui in un’occasione unica di conoscenza (ne è testimone la grande messe di informazioni che raccolse e riportò nella sua relazione finale) e di espressione di fede (come dimostrò in molte occasioni, a partire dall’episodio di Tana).
La prima tappa del viaggio fu Trebisonda, sul Mar Nero. Da qui via terra arrivò a Hormuz, nel Golfo Persico, salpando poi per l’India e approdando a Tana, nei pressi dell’attuale Bombay/ Mumbai, dove nell’aprile 1321 erano stati martirizzati quattro frati suoi confratelli. Odorico, giunto a Tana in una data imprecisata, con grande devozione recuperò le ossa di tre di loro: Tommaso da Tolentino, Giacomo da Padova e Demetrio da Tiflis, e le portò con sé fino in Cina, allo scopo di santificare la neonata Chiesa orientale (le reliquie svolgevano una funzione essenziale per determinare la sacralità delle istituzioni religiose).
Da Tana Odorico proseguì il viaggio verso Malabar, Madras e Mylapur, dove visitò la tomba dell’apostolo Tommaso. Poi proseguì attraverso le isole meridionali, passando per l’odierno Sri Lanka, le isole Adamane, l’Indonesia e le Filippine, fino ad arrivare nel porto di Canton/Guangzhou.
Infine, dopo un altro lungo e articolato viaggio, usufruendo dell’efficiente rete viaria cinese, giunse nella capitale Khanbaliq (Pechino), dove sedevano l’imperatore e l’arcivescovo Giovanni da Montecorvino. Non sappiamo di preciso quando Odorico arrivò a destinazione, ma – considerando anche le tempistiche di altri viaggiatori del tempo – una data realistica potrebbe essere tra la fine del 1324 e i primi mesi del 1325.
Nel tempo che rimase in terra cinese, Odorico svolse un’intensa attività missionaria, affiancando il suo arcivescovo nelle delicate relazioni istituzionali. Bisogna considerare il particolare clima che si respirava all’epoca in Cina, dove i Mongoli e i Turchi – che detenevano il potere – erano ben disposti verso i mercanti europei e i missionari cristiani (non solo cattolici, ma anche nestoriani); invece la popolazione autoctona – sottomessa, ma con una forte impronta culturale propria – vedeva con diffidenza gli europei.
La morte, il libro e la fama di santità
Dopo circa tre-quattro anni di attività in Cina, Odorico decise di rientrare in Italia, per sollecitare la curia papale ad un maggiore sostegno all’attività missionaria, sostenuta allora dall’ormai anziano Giovanni da Montecorvino (che morirà proprio nel 1328) e da pochi altri confratelli.
Anche il viaggio di ritorno costituì occasione per nuove conoscenze e scoperte. Odorico seguì uno dei rami della cosiddetta “via della seta” attraversando la Cina occidentale, l’Asia centrale, la Persia e l’Anatolia fino a tornare via mare a Venezia e raggiungere Padova, sede provinciale dei frati minori. Qui, nel maggio 1330, per ordine dei suoi superiori, dettò a fra Guglielmo da Solagna la relazione del lungo viaggio, destinata a essere trasmessa come documentazione alla curia avignonese. Questo resoconto, conosciuto come Itinerarium o Relatio, godette di grande fortuna e venne presto tradotto in molte lingue europee. Esso subì anche molte manipolazioni, tanto che solo in anni recenti si è potuta realizzare un’edizione critica del testo odoriciano.
Pochi mesi dopo la stesura della Relatio, Odorico si ammalò e dovette rientrare rapidamente a Udine, dove spirò il 14 gennaio 1331 nel convento di San Francesco. La tomba del frate divenne presto oggetto di una intensa devozione popolare, alimentata dalla notizia di miracoli a lui attribuiti. Tra questi, anche uno avvenuto nel molinetto di Cordovado, sul rio Roiale: tale Giovanni Galluccio, che si era gravemente leso la mano destra nella mola alcuni anni prima, alla notizia della morte del frate aveva deciso di recarsi anche lui a Udine a rendergli omaggio; ma durante la notte Odorico gli apparve nel sonno e lo guarì.
La fama di santità crebbe e si diffuse non solo in Friuli, ma anche in Carinzia, in Istria e in Veneto. Perciò, solo un anno dopo la sua morte, nel 1332, Odorico venne canonizzato dal patriarca di Aquileia. La beatificazione ufficiale si ebbe però solo nel 1755 con papa Benedetto XIV. Attualmente è in corso la causa per la sua santificazione, ferma a Roma dal 2006. Ma la devozione popolare non ha bisogno di certificati e il beato Odorico da Pordenone oggi è per tutti “l’apostolo della Cina”.
Articolo di Carlo Scaramuzza e Claudio Romanzin
Dal numero monografico Pordenone, città d’acqua e di cultura
Foto tratte dal libro di P. Cocconofri, G. C. Testa e C. Vurachi Odorico delle meraviglie, Pordenone, 2015, per gentile concessione dell’Associazione Cintamani.