Uno sguardo dal ponte: passi e parole d’autore

Nel corso del Novecento, Sacile ha spesso costituito una fonte di ispirazione per gli scrittori: saranno le loro parole ad accompagnarci in questa passeggiata urbana, per assaporare atmosfere e suggestioni che la sensibilità letteraria ha colto e può restituire, nel tempo, intatte.

L’incipit del nostro itinerario nel centro cittadino spetta senz’altro ad uno dei maggiori intellettuali del XX secolo, Pier Paolo Pasolini, di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita: egli, infatti, tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta trascorse a Sacile due brevi periodi della sua infanzia, fervidi di conseguenze per l’incontro con la poesia, il cinema e il teatro.

Giunto nella cittadina nel 1929, in seguito ad uno dei numerosi trasferimenti del padre, ufficiale dell’esercito, il futuro scrittore, regista, attore e giornalista avrebbe serbato per sempre il ricordo di una Sacile «pluviale, proletario centro di mandamento, con gli edifici militari e scolastici, il mercato feriale, la sagra degli uccelli conosciuta in tutte le Venezie…».

Riflessi di luce sulle acque del Livenza (foto Cinzia Rovere)

LA PRIMULA
(A Sacile nel ’29)
Mia madre quasi giovinetta, china
sopra il Livenza, raccoglie la primula
eretta, estranea… I Mori dalla torre
rintoccano nell’aria tutta pura
l’aria meridiana… E il fresco peso
della camiciola di fanciullo,
la nube indefinita nell’azzurro,
l’odore, come un urlo silenzioso,
dei campi impubi…
Pier Paolo Pasolini

La famiglia Pasolini prese alloggio in via Solferino (oggi via Luigi Gasparotto), nella casa all’angolo con la piazzetta del duomo. Qui, a soli sette anni, Pier Paolo iniziò a comporre i suoi primi versi, scritti e illustrati in un piccolo notes, che andò purtroppo perduto durante la guerra. I ricordi di Sacile entrarono poi in un gruppo di poesie comprese nella raccolta Via degli amori (1946), dove squarci urbani si fondono con episodi di vita quotidiana e primi turbamenti infantili, il tutto sovrastato dall’amore ineguagliabile per la madre Susanna, che «quasi giovinetta, china/sopra il Livenza, raccoglie la primula/eretta, estranea…».

Leggendo questi versi, avvertiamo ancora «il tonfo della palla/nel nostro gioco spinto fino all’ora/di cena… e le rare parole» con i bambini del luogo, rispettosi e insieme diffidenti verso l’agiato forestiero. Rimandano invece ad una sera festiva i ricordi di Pier Paolo e del fratello Guido «seduti al tavolino di ferro verde, instabile»: i genitori non disarmavano da un litigio e i due bambini, disperati, cercavano consolazione in piccole gioie, «il gelato nella coppa bruna che si fonde con le note/notturne della banda…».

Nei componimenti di Pasolini affiorano simboli urbani ormai perduti, come i Mori che «dalla torre/rintoccano nell’aria tutta pura/l’ora meridiana»: la torre dell’Orologio, che chiudeva all’epoca la piazza, venne infatti abbattuta in seguito al terremoto del 1936. Anche l’attrazione verso la settima arte, alla quale Pier Paolo si sarebbe dedicato dapprima come sceneggiatore, poi, dal 1961, come regista, è insita nei ricordi di bambino in un pomeriggio festivo al salone parrocchiale Ruffo, dove una folla di fanciulli vocianti assiste alla proiezione di un datato film muto.

E così, Sacile ritorna nella sceneggiatura del film Edipo re (1967): il regista, ormai affermato, ambienta infatti il prologo e l’episodio finale sulle rive del Livenza lambito dai salici, «investiti da quel sole inenarrabile dei pomeriggi del fondo della provincia: un angolo misterioso nel mondo senza nord, senza sud».

Riflessi – Fabio Zardenetto

Nell’ottobre del 2015, sulla casa che la famiglia Pasolini abitò di fronte al duomo, è stato apposto un bassorilievo dello scultore Alberto Pasqual, che riporta l’effigie pensosa del poeta e i versi «io sono uno spirito d’amore/che al suo paese torna di lontano», mentre lungo la via sono stati collocati testi delle poesie legate a Sacile. Il 19 maggio 2019 gli è stato finalmente dedicato un vicolo in prossimità della stessa strada, teatro dei suoi giochi con i coetanei, «quando verso sera, lanciati ognuno sulla sua bicicletta sgorgavamo nell’aria che appassiva le nostre voci giungendo in volata dalle stradine intorno, davanti agli scalini del duomo».

Sempre nel 2019 è avvenuta l’intitolazione del ponte presso l’ospedale a Syria Poletti: nata nel 1917 a Pieve di Cadore da genitori sacilesi, la scrittrice trascorse infatti in riva al Livenza alcuni anni della sua infanzia e giovinezza.

«Poi c’era il ponte. Da quel punto si poteva contemplare la città immersa nella conca verde che si intrecciava col labirinto del fiume, circondata dalla cornice azzurra dei monti». Alto come un torrione, i suoi archi di pietra immersi nelle acque «facevano da cornice al cicaleccio colorito delle lavandaie, che lì avevano il loro quartiere generale, e lì risolvevano le loro faccende a colpi di biancheria, tra nubi di schiuma». Nel suo racconto La linea del fuoco il manufatto separava nettamente due zone della cittadina, la via operosa di botteghe artigiane e l’area «lugubre tutto d’un tratto» del nosocomio e dei padiglioni che raccoglievano «gli invalidi, i dementi e i pazzi gettati lì dalla guerra del ‘14».

Un tempo il ponte era detto “della Madonna”, perché conduceva alla chiesa di Santa Maria degli Angeli annessa ad un convento di Agostiniani, oggi scomparso. Qui aveva trovato rifugio nel suo percorso di conversione al cattolicesimo l’ebreo Mandolino da Sacile, protagonista del romanzo storico Fughe incrociate di Fulvio Tomizza, pubblicato nel 1990. Anche il famoso scrittore di origini istriane, basandosi su una vicenda realmente accaduta e documentata tra XVI e XVII secolo, non ha potuto esimersi dall’omaggio alla bella cittadina, «circondata dal Livenza che là si rannodava su se stesso e con un braccio la attraversava, strisciando sotto i ponti della piazza e lambendo i muri dei palazzi come negli angoli più verdi di Venezia».

Sacile ebbe nei secoli tre conventi maschili (Francescani, Agostiniani e Cappuccini) ed uno di monache domenicane, tutti soppressi: solo i locali dell’ultimo, trasformati in caserma e poi sede del distretto militare, sono giunti fino ai nostri giorni e auspichiamo che un’adeguata riqualificazione li restituisca presto alla comunità.

Sacile ha voluto rendere omaggio alla scrittrice Syria Poletti, intitolandole il ponte che spesso ritorna con nostalgia nelle sue pagine (foto Caterina Pusceddu)

Ma torniamo a seguire la giovane Poletti che, nella cittadina «immersa in un labirinto di canali… come una sorta di enigma acquatico», visse anni dolorosissimi, segnati dall’abbandono dei genitori, emigrati oltreoceano in cerca di miglior fortuna, e dalla povertà spartita con la nonna materna. Il riscatto avvenne in Argentina, dov’era riuscita a trasferirsi nel 1938 e dove la sua carriera letteraria, in lingua castigliana, conobbe una progressiva ascesa, scandita da premi e riconoscimenti, al punto che Jorge Luis Borges la definì senza esitazioni la migliore scrittrice latinoamericana.

L’attrazione pericolosa che il Livenza da sempre esercita sui Sacilesi è espressa magistralmente dalla sensuale scrittura al femminile di Syria: il río verde diventa tra le sue pagine «un enorme serpente che s’attorcigliava intorno alla città di pietra, la cingeva, la penetrava, si coricava al suo fianco per isolarla e possederla».

Anche Cesco Tomaselli, celebre corrispondente del «Corriere della Sera» nato nel 1893 a Venezia da genitori sacilesi, ha colto il carattere unico di questo fiume senza giovinezza, già adulto dopo pochi chilometri: «sotto quella calma ambigua di acque verdicupe, ove i salici immergono le loro stanche chiome, s’indovina il gorgo micidiale, il risucchio che afferra, che trascina, che non abbandona più».

E riecheggiano ancora «arpe di salici/modulate dal vento/sulle sciolte chiome/dei verdi capelli» nei versi, intrisi di nostalgia, della poetessa Ada Maglione, che nel “Giardino della Serenissima” aveva visto i natali subito dopo la fine della Grande Guerra.

Concludiamo allora la nostra passeggiata letteraria con le parole di Syria Poletti che, nel 1968, invitata a partecipare ad una serata in suo onore in riva al Livenza, così descrisse il profondo vincolo d’amore che la legava ai luoghi dell’infanzia: «…benedetta Sacile, che mi hai formato l’anima».


Articolo di Stefania Miotto
Dal numero monografico Sacile e la Livenza

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